Cos’era quel luogo, perduto e trovato, io che mi ero perduto e ritrovato proprio là? Nel corpo e nella mente.
Un luogo solingo eppure conviviale, caldo e accattivante in mezzo alla fresca foresta di querce.
Ricordo quando, poco più che fanciullo, mi ci imbattei quasi per caso, nel viaggio di famiglia, alla ricerca di avventura, di un’emozione, del passaggio dall’infanzia all’età più adulta.
La crescita di un ragazzo ebbe inizio in quel tratto di terra umbra, tra Foce e Amelia.
Erano gli anni Sessanta e mi accingevo a scrivere il mio romanzo di formazione, pagina dopo pagina, un giorno dopo l’altro, mentre scoprivo i misteri della Grotta delle Fate e assaporavo la vita.
Sì, proprio lì, dove gli alberi solleticano sempre il cielo, mi innamorai per la prima volta e regalai a lei il mio cuore, inebriandolo di dolceamaro, fino a straziarlo.
Quella dimora antica, chiamata La Gabelletta, fu il teatro del nostro amore, delicato e riservato, pudico nel desiderio di essere sfrontato. Oh, era bellissima e tutt’intorno il vento sussurrava tra le fronde il suo nome!
Il viaggio di famiglia, come ci fece incontrare così ci separò.
Gli anni scorrono e travolgono, acqua che spegne il fuoco e infligge l’oblio.
Il fuoco è ancora dentro di me, da qualche parte, per testimoniare che sono vivo e ricordarmi come eravamo? Vorrei che bruciasse qui e ora. Vorrei tornare lì, nella dimora del mio primo, perduto amore. Per ritrovarlo, per ritrovarmi.
Guardare lei, guardare attraverso di lei, guardare quello che ha guardato lei, che abbiamo visto insieme, vedere me.
Un giorno tornerò lì, nel mio viaggio personale. In Umbria, tra Foce e Amelia, a La Gabelletta.