Sembra, la suite Sicromazia, sospesa tra gli alberi e il cielo. Situata nel fabbricato recuperato da preesistenze di probabile origine conventuale, si affaccia ad est, sul centenario bosco di lecci. La natura prorompe dalle finestre e dalla grande bay window, dinanzi al fluttuare delle foglie e al fruscio delle fronde si ha l’impressione di trovarsi avvolti da un mare di un verde abbacinante, che assume via via tonalità diverse, secondo la stagione o l’ora del giorno. Con i suoi 42 metri quadrati, la stanza è stata pensata per offrire un grande comfort in un ambiente dove il tempo potrebbe anche fermarsi. Pavimenti in pietra dalle sfumature amaranto, alti soffitti con travi a vista e spioventi simmetrici, un delizioso camino d’epoca in marmo bianco, antiche appliques di Murano che creano seducenti giochi di luce, fanno da contrappunto a tocchi di colore, a citazioni contemporanee. E poi la grande sala da bagno. Con vasca e doccia cromoterapica, è rivestita di ardesia verde e ghiaia del medesimo colore – un sottile ammiccamento al mare verde dell’Umbria.
C’era una volta un regno, piccolo in verità, ma prospero e placido. Era il regno di Sicromazia. Il re e la regina erano – incredibilmente! – molto amati e rispettati dal loro popolo, un popolo solerte e tranquillo, appagato dalla serena consuetudine dei giorni che si rincorrevano senza affanni, dalla sicurezza dell’indomani e dalla certezza di ciò che non sarebbe potuto accadere. L’inevitabile non era contemplato e le ore, ma che dico, i minuti si srotolavano saltellando sapendo esattamente dove sarebbero andati a parare. Insomma, l’immutabile incontestato. I Sicromazi parevano non essere contagiati né da frenesia né da paure, si portavano a spasso le loro esistenze con la pacatezza di chi non teme imprevisti ma anche con la poca fantasia di quanti non sanno immaginare che al di là del portone di casa potrebbe aprirsi un baratro oppure crescere un albero di fico. Avevano scardinato la curiosità, l’amore per l’ignoto, la brama della conoscenza in cambio della tranquillità. E il desiderio era andato man mano scemando, il desiderio autentico, quello che non ha nulla a che vedere con la volontà, il desiderio che porta all’appagamento, insomma l’aspirazione intima a qualcosa che non possediamo era sparita ed era stata sostituta dalla necessità che nulla cambiasse. Certo, i quadri dei pittori diventarono cartoline da mandare ai pensionati per anziani e i romanzi degli scrittori rubriche di economia domestica, ma nessuno aveva a che ridire. E che si vuole forse barattare l’imperturbabilità di una siffatta esistenza con la Cappella Sistina?
Ma accadde l’inevitabile, accadde che la figlia minore del re mostrasse, fin da piccola, una singolare propensione al sapere. Non riusciva a formulare una frase senza metterci almeno tre ‘perché’ con altrettanti punti interrogativi – eppure non era mai soddisfatta delle risposte che le venivano propinate e continuava a chiedere spiegazioni e motivazioni, infischiandosene altamente delle Norme Dogmatiche che secondo il sovrano, suo padre, bastavano e avanzavano per tutto chiarire e per fugare il benché minimo dubbio. Anzi, la parola ‘dubbio’ era stata proprio bandita dai dizionari di Sicromazia: che c’è di meglio dell’avere la strada spianata e tracciata come un rigo senza la benché minima sbavatura? Non si capacitava, il malcapitato, che proprio la sua prole dovesse annoverare una ribelle, e di che tinta! Non si rassegnava che proprio la sua figliola minore fosse la sola, da tempo immemorabile, a voler stravolgere l’ordine costituito, a diffidare della pedissequa e rigorosa applicazione delle Norme, a volersi cimentare in imprese sconosciute e – ancor peggio! – a sognare un mondo con meno rincoglioniti e più esploratori.
Alla fine, stremato dalle petulanti e ossessive interpellanze della giovinetta, l’augusto genitore capitolò e si persuase ad inviare i suoi più fidati scagnozzi a destra e a manca per trovare qualche precettore disposto a trasferirsi in tutta segretezza a Sicromazia. Chissà se costoro avrebbero finalmente appagato le curiosità di quella sua benedetta figliola! Chissà!
No. Proprio no. Al contrario: quei bravi sapientoni non fecero altro che aggiungere legna al fuoco e fomentare l’irrequietezza con cui incredibilmente la ragazzina era venuta al mondo. Una volta erudita nelle filosofia, nella storia e pure nello geotermia, la ribelle non si accontentò più di quello che le veniva propinato ma le sbocciò il desiderio di andare a vedere di persona quello che c’era al di là dei confini del regno. Apriti cielo! Erano forse più di tre secoli che nessuno sentiva il bisogno di lasciare Sicromazia! Che eresia! Siccome era stata ben istruita anche nella oratoria, e siccome all’amor paterno non si comanda, accadde che il re dopo giorni e giorni di persuasivi concioni, cedette. Acconsentì che la figlia, sotto mentite spoglie e scortata da un drappello dei più devoti dragoni, intraprendesse il tour della scoperta. Stabilì itinerari e soste, tempi e ruolini di marcia.
Nei due anni di assenza della figlia, il monarca si meravigliò di provare nostalgia per quella stravagante esemplare della sua progenie anche se, a onor del vero, dormì sonni più tranquilli.
Ma il diavolo, come noto, fa le pentole e non i coperchi. La fanciulla tornò ancor più vogliosa di prima, se possibile. E chiese al nobile genitore di darle il permesso di andare a vedere il mare. Il mare? Assurdo! Sicromazia era un piccolissimo regno tra le montagne del Licenstano e le pianure della Strazia Minore, così lontano dal mare che non sarebbe bastata l’intera esistenza del cavaliere più veloce a raggiungerlo! Ohibò! Che fare? Perché, una cosa è certa, la ormai signorina non si dava pace.
E il re si dette dell’idiota e dello stupido: non era forse colpa della sua bonomia se quella scellerata non riusciva a chetarsi? Ah, se fosse stato più severo, se avesse preteso che i sogni della figlia fossero cancellati a suon di sculaccioni! Ma ormai era troppo tardi.
Pensa che ti ripensa, ebbe una folgorazione: se da Sicromazia non si può arrivare al mare, ebbene, che sia il mare ad arrivare a Sicromazia! Fece costruire una incantevole camera in mezzo ad un bosco millenario, dove lo stormire delle foglie palesava il fruscio delle onde, con una enorme sala da bagno rivestita con lapislazzuli e pietrisco a raffigurare l’oscillazione dei flutti. Chiamò la figlia e le consegnò le chiavi. Costei, per quello che ci è dato di sapere, rimase, alla buonora!, senza parole e decise che non poteva chiedere altro al povero padre. Trascorse anche la prima notte di nozze in quella stanza: era riuscita a scovare il discendente di una famiglia di pescatori, giunta in quei lidi, non si sa come, un secolo prima.