Cinque toni di viola per la stanza Dulasia, una stanza misteriosa e magica come appunto il colore che la contraddistingue. Pavimenti in ardesia dalle sfumature prugna, lampadari in bronzo e cristalli, tappeto persiano, soffitto con travi a vista. E poi degli improvvisi sprazzi di arancione, ad accendere di creatività l’arcano fascino del colore dominante, il viola. E infine un bagno che ricorda un hammam, con pregevoli antiche colonne lignee che delimitano la vasca e la grande doccia a soffitto con idromassaggio e luci a variazioni cromatiche. La camera Dulasia è di 30 metri quadrati circa.
Ebbene, Dulasia era la città che non c’era. Era la città misteriosa, quella dove tutti avrebbero voluto risiedere, quella dove la vita scivolava così spontaneamente come l’acqua tra le dita – era la città del sogno. Non solo per le case, che pure erano incantevoli e accoglienti, non per la garbatezza di coloro che vi abitavano, no, non solo per quello, nemmeno per il benessere di cui ogni cittadino godeva… Dulasia era il luogo dove ognuno poteva essere ciò che era, ciò che era nell’intimo, senza sovrastrutture, finzioni o doveri e senza che chicchessia si permettesse di dare un giudizio. Si viveva in serenità e in pace con l’anima, le bassezze dell’umana attitudine erano state estirpate, si consentiva che ciascuno seguisse le proprie pulsioni: in breve, i Dulasi avevano appreso la capacità di non imporre agli altri il perseguimento dei propri ideali o preconcetti o dei propri convincimenti.
Non tutti potevano ottenere la residenza a Dulasia – bisognava dimostrare la propria temperanza e superare l’accuratissimo esame del consiglio degli anziani e della cittadinanza tutta. E non bastava. Dulasia poteva sparire all’improvviso, e allora lo sventurato che pensava di essere stato ormai ammesso, si ritrovava all’improvviso nel luogo da cui era venuto, senza poter far nulla perché non erano concesse due possibilità! Che rimpianto per quel poveretto! Distruggere l’utopia senza ipotesi di appello…
Accadde che tale Lazzarinia, prostrata dalle infauste prove cui il caso l’aveva sottoposta, decise che ne aveva abbastanza e che doveva trovare il modo per arrivare a Dulasia – gliene avevano parlato sin da quando portava le trecce e un cappuccetto rosso, ma chissà se esisteva per davvero, quella città dove i sogni potevano prender forma e i giorni non portavano alcuna stolida sorpresa! Tanto fece e tanto disse che cominciò a vagare a destra e a manca finché non fu notata da un certo anziano di Dulasia che, mosso a esemplare e premurosa compassione, risolvette di saggiare l’indole della signora in questione, per capire se fosse adatta ad essere accolta a Dulasia. Le apparve durante il sonno e le raccontò un poco dei principî e delle consuetudini di Dulasia, ammonendola che se non si fosse attenuta alla garbata irreprensibilità che vigeva in quel luogo, ne avrebbe subito la riprovazione e in un batter d’occhio sarebbe stata rispedita là da dove era venuta, puff!
Lazzarinia tanto disse e tanto fece in quella fatidica notte, che riuscì a convincere l’anziano che il suo comportamento sarebbe stato irreprensibile e che la sua indole era proprio acconcia ai costumi della città. Così, fu accolta a Dulasia. Ma, siccome le abitudini sono dure a morire, dopo qualche tempo – poco, per la verità -, cominciò a dar segni di insofferenza. Mai un alterco, una innocente battuta, un gesto di nervosismo… solo affabilità e buona creanza… pfui! Ci mise meno di dieci secondi il consiglio della città a decidere di convocarla per discutere della sua espulsione… E Lazzarinia si rese conto che aveva proprio fatto una bella frittata con la sua intemperanza! Che fare? Scaltra, Lazzarinia, lo era proprio. Pensa che ti ripensa, alla fine ebbe una folgorazione. Si presentò al consesso cittadino ma, non appena il più anziano degli anziani le rivolse una domanda lei, boom!, cadde a terra come una pera secca. E si addormentò. Gulp! Provarono a svegliarla: titillamenti, solletichi, stiracchiamenti… non ci fu nulla da fare. Lazzarinia dormiva, e dormiva pure con una espressione beata e finalmente soddisfatta. Il consiglio si trovò in pesanti ambasce: quoi faire? Dopo interminabili e angosciose discussioni, fu stabilito che non era possibile rispedire al mittente la bella addormentate e che, infine, se voleva dormire a Dulasia, che dormisse pure. D’altronde, perché odiarsi di prima mattina quando si può sognare per tutto il giorno?
Le costruirono una bellissima camera da letto, dipinta con le gradazioni del viola, il colore del mistero!, dove potesse sognare con gioia e risvegliarsi quando meglio le aggrada.